I comandamenti dello Yoga: Yama e Niyama

Lo Yogadarśana o Rāja-yoga indica due aspetti etici preliminari prima di entrare nella disciplina yogica propriamente detta e nella meditazione.

Si tratta di Yama e Niyama. Dalla radice “yam” che significa “soggiogare” o “controllare”, Yama può essere tradotto con “autocontrollo” o “restrizioni” e Niyama può essere tradotto con “osservanze” o “prescrizioni”. Insieme costituiscono il presupposto indispensabile per la pratica.

Le restrizioni Yama sono:

  1. Ahimsā: la non violenza;

  2. Satya: la verità;

  3. Asteya: l’onestà;

  4. Brahmacarya: la continenza;

  5. Aparigraha: la non possessività.

Le prescrizioni Niyama sono:

  1. Śauca: la purezza interna ed esterna;

  2. Samtosa: l’appagamento o contentezza;

  3. Tapas: l’ascesi;

  4. Svadhyāya: lo studio di sé;

  5. Īśvara-pranidhana: l’abbandono al Divino.

Quasi affiorano ai nostri occhi i Comandamenti.

Raja Yoga

Il Rāja yoga è lo yoga regale codificato da Patañjali nei suoi Yoga-sūtra. Esso consta di 8 passi che praticati portano lo yogi a eliminare gli ostacoli e le oscillazioni della coscienza ordinaria essendo la meta od obiettivo finale la liberazione dell’anima-Purusa dalla materia-Prakrti a cui è incatenata di vita in vita. In effetti l’obiettivo è “citta vrtti nirodha”, ossia la sospensione delle modificazioni della mente che sono causa di dolore. Raggiunta questa sospensione si svela il soggetto reale, la reale natura del nostro essere.

E’ definito Rāja yoga o Yoga regale perché è il coronamento di tutti gli altri yoga. Tutte le altre forme di yoga come il mantra yoga, il laya yoga, lo hatha yoga ecc. sono forme preparatorie al Rāja yoga.

A differenza degli altri darśana che si basano su teorie metafisiche lo Yoga di Patañjali propone le tecniche e i mezzi per raggiungere il fine supremo, ossia l’isolamento del Purusa.

Lo Yoga è basato sulla teoria del Sāmkhya e ne rappresenta il suo aspetto complementare ossia la “pratica” del Sāmkhya, ma a differenza di esso lo Yoga ammette un 26° principio che è Isvara. Ciò significa che il dualismo del Sāmkhya è superato attraverso questo principio da cui sia il Purusa sia la Prakrti traggono il loro essere. Isvara rappresenta l’Essere universale nella sua inscindibile Unità, di cui il Purusa e la Prakrti sono aspetti polari e complementari, in esso sono contenute le indefinite possibilità di manifestazione.

 

Origini del Tantra e suo significato

Nei primi secoli dell’era cristiana, nell’area in cui si era sviluppata la grande civiltà indo-aria, si afferma e si diffonde una nuova corrente spirituale e religiosa. La sua influenza si fa sentire dappertutto: nelle scuole dello Yoga, nelle speculazioni post-upanishadiche, nei culti di Shiva e di Vishnu e nel buddismo dove suscita una corrente nuova: il Vajrayāna (la Via del Diamante o della Folgore). Essa si associa da una parte a varie forme di culti popolari e pratiche magiche, dall’altra ad insegnamenti prettamente esoterici ed iniziatici.
La parola Tantra, che spesso viene tradotta con “Trattato - Esposizione”, deriva dalla radice “Tan” che vuol dire “Estendere – Continuare”, sembrerebbe esprimere che il tantrismo sia come una estensione o uno sviluppo degli insegnamenti tradizionali, che a partire dai Veda si erano in seguito articolati nei Brāhmana, nelle Upanishad e nei Purāna. Per questo talvolta i Tantra hanno rivendicato la dignità di “quinto Veda”, cioè una ulteriore rivelazione accanto a quella dei quattro Veda tradizionali.
Il tantrismo rappresenta una reazione contro il semplice speculare, contro il ritualismo stereotipo e vuoto e contro ogni ascetismo mortificatorio e penitenziale. Un po’ come il buddismo delle origini che avversava le speculazioni e i ritualismi vuoti del brahmanesimo degenere. Il Tantra alla via della contemplazione contrappone quella dell’azione, dell’esperienza diretta. La pratica o sādhana riveste un ruolo centrale, leggiamo dallo Hathayogapradīpikā, I, 66:
“I poteri non si conseguono portando una veste [da brahmano o da asceta] né dissertando sullo yoga, ma solo la pratica infaticabile conduce al compimento. Su ciò non vi è dubbio”.

 

Pranayama in "Yogasutra"

Nel Pranayama Patanjali vede un mezzo molto efficace per padroneggiare la mente e renderla adatta alla concentrazione, poiché possiede la proprietà di neutralizzare il pensiero e di dissolvere le impressioni subliminali ingombranti. La ritenzione dei soffi vitali, quindi, permette alla mente di non oscillare.

Il pranayama consiste nel dominio delle forze vitali del corpo, realizzabile dopo che sia stata assunta la giusta posizione. Solo allora sarà possibile controllare o anche interrompere il moto della respirazione. E' bene sottolineare che il prana non è il respiro, per quanto venga di solito tradotto con questa parola. Esso è il complesso dell’energia cosmica. E’ l’energia che risiede in ogni corpo e la sua manifestazione più evidente è il movimento del respiro. Questo movimento è dovuto al prana immesso col respiro ed è ciò che col pranayama si cerca di dominare. Il controllo del respiro è il mezzo più facile per governare il prana. Dall’integrità e dal funzionamento efficace dell’apparato respiratorio e dalla sua capacità di ossigenare e purificare il sangue dipende la salute del corpo fisico.

Prana cos'è?

Il termine Prāna derivato dalla radice pra+an che significa respirare, inalare, è molto difficile da spiegare, così come tutti i termini sanscrito della Tradizione orientale, che tradotti perdono la loro pregnanza. Ci apprestiamo così, umilmente, a darne un’interpretazione indicativa che stimoli alla ricerca personale, la sola che possa soddisfare la nostra comprensione.

Il Prāna sottende diversi significati. La traduzione in “soffio vitale”, “respiro cosmico”, “energia vitale”, vuole indicare questa immensità che rappresenta.

Da una parte è la somma di tutte le energie cosmiche, è l’energia universale che agendo su “ākāśa” crea tutte le forme presenti nella materia. Il termine occidentale corrispondente a Prāna potrebbe essere energia, anche se non è esaustivo, per quello che noi intendiamo come energia. In oriente invece, tutto è manifestazione del Prāna (anche il pensiero) ed esiste in tutte le forme, così negli esseri viventi che nel mondo inanimato, nel cibo, nell’acqua, nella luce del sole etc. E’ quindi energia fisica, mentale, intellettuale, sessuale, spirituale; la luce, il calore, il magnetismo, la gravità e l’elettricità sono forme di prāna. E’ il primo motore di tutte le attività, è l’energia che crea, protegge, distrugge. A certi livelli rappresenta il Purusha stesso, cioè l’Essere nella sua funzione di sostegno del divenire e della trasformazione universale.

Dall’altra parte è anche il termine per indicare il “soffio vitale” che pervade il corpo e lo anima e che dura finchè dura la vita e svanisce al suo svanire. Designa perciò l’energia sottile che circola nel corpo attraverso le nādi (canali del corpo sottile), sebbene si manifesti esteriormente anche a livello grossolano, ad esempio il prāna nell’uomo si manifesta nella funzione respiratoria, ma il prāna non è la respirazione. In tale contesto corrisponde cioè al flusso mentale-energetico che trova espressione nell’attività dei vari organi.